Ryu, il ragazzo delle caverne: l’anime What if

Quando penso agli anime che mi hanno davvero segnato da piccolo, ce n’è uno che torna sempre in mente: Ryu, il ragazzo delle caverne. Non era il classico cartone allegro e colorato, anzi. Era duro, crudo, quasi brutale. Ma proprio per questo era fichissimo.

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Ryu il ragazzo delle caverne” (titolo originale: Genshi Shōnen Ryū) è una serie anime prodotta nel 1971 dalla Toei Animation. Ryu il ragazzo delle caverne conta 22 episodi e in Italia è arrivata con un certo ritardo, come accadeva spesso, ma ha trovato comunque il suo pubblico, specialmente tra chi guardava emittenti locali. Prima ancora che esistesse il concetto moderno di “What If” nei fumetti e nelle serie TV, questo anime ci proponeva una realtà alternativa cruda e primitiva. Era come se qualcuno avesse preso le regole del genere post-apocalittico e le avesse calate nella preistoria più selvaggia, infatti Ryu era una specie di Ken il guerriero.

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Ryu contro il mondo selvaggio

La storia è ambientata in una preistoria brutale, dominata da creature giganti e tribù spietate. Ryu è un ragazzo coraggioso ma solitario, in cerca della propria madre perduta. Durante il suo viaggio attraversa territori ostili, combatte contro animali preistorici e gruppi violenti, e cerca di sopravvivere giorno per giorno, in ogni puntata Ryu conficca un palo appuntino a un povero dinosauro.

Gli altri personaggi

Accanto a lui, anche se non sempre fisicamente presente, c’è Ran, una ragazza dolce e intelligente talmente bella che ha inaugurato la serie Bellezze al Bagno 2024 disponibile sul blog di bybierre,

Ran riesce in qualche modo ad addolcire la brutalità dell’ambiente in cui vivono. Ran rappresenta un raro spiraglio di umanità, un legame emotivo che dà a Ryu qualcosa per cui combattere, oltre la sopravvivenza. Lei non è solo una “spalla”, ma una sorta di coscienza, di bussola morale in un mondo che sembra aver perso qualsiasi tipo di compassione.

Poi ci sono i nemici, che in “Ryu” non sono mai banali. Spesso non hanno nemmeno un volto chiaro: sono la fame, la solitudine, il freddo, o le creature preistoriche che sbucano all’improvviso. Ma a volte si incarnano in capi tribù sadici, uomini corrotti dalla violenza, o clan primitivi che vivono solo per distruggere. In ognuno di loro si riflette un pezzo del lato oscuro dell’uomo

Un anime duro

Una cosa che ancora oggi mi colpisce di Ryu il ragazzo delle caverne è quanto fosse visivamente duro. Per essere un cartone animato trasmesso in fascia pomeridiana, le scene cruente erano parecchie. Uomini sbranati da mostri, animali feriti a sangue, combattimenti all’ultimo respiro… e tutto disegnato con uno stile realistico, quasi sporco. Non c’erano filtri. La preistoria che raccontava non era romantica, era spietata, la legge del più forte, letteralmente.

Sì, Ran è carina. Ma avete visto la sua guardia del corpo?

La sigla da urlo

E come dimenticare la sigla italiana di Ryu? Breve, incisiva, con quel tono quasi drammatico che annunciava: “non è un cartone qualunque”, sigla di metteva un hype pazzesco anche se durava soltanto 40 secondi.

La sigla italiana di apertura di Ryu, il ragazzo delle caverne fu incisa da Roberto Fogu (in arte “Fogus”), ed è stata scritta per il mercato italiano da Marcello Casco, Paolo Lepore e Paolo Moroni, su una base tratta dalle musiche originali giapponesi.

Ryu, il ragazzo delle caverne meriterebbe davvero una seconda vita. Magari su una piattaforma streaming, magari con una remaster fedele ma aggiornata, magari anche solo con una nuova generazione di fan pronta ad apprezzare un racconto che non ha paura di mostrare il lato brutale dell’esistenza.

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Grande Ryu!
Ken il guerriero ma con i dinosauri
Nulla
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