Con l’annuncio ufficiale e i primi trailer di Death Stranding 2: On the Beach, Hideo Kojima è tornato al centro dell’attenzione mediatica. Come spesso accade con le sue opere, la stampa videoludica si è divisa: da un lato l’entusiasmo per la visione artistica unica del game designer giapponese, dall’altro lo scetticismo verso un progetto che si preannuncia ancora più criptico e divisivo del suo predecessore.
L’acclamazione: un’esperienza unica e visionaria
Molti portali del settore da IGN a Eurogamer – hanno elogiato il coraggio di Kojima nel continuare a spingere i confini del medium videoludico. Death Stranding 2 promette un’estetica ancora più cinematografica, un cast stellare (Norman Reedus, Léa Seydoux, Elle Fanning, e Troy Baker) e un mondo post-apocalittico più denso di significati e misteri.

Le testate che hanno supportato l’opera sottolineano come il gioco rappresenti un’alternativa ai blockbuster tradizionali, offrendo un’esperienza più contemplativa, narrativa e concettuale. “Un’opera d’arte interattiva”, scrive Polygon, mentre altri parlano di Death Stranding 2 come di “un sequel che osa dove altri si limitano a reiterare”.
L’ altra faccia della medaglia
Nonostante l’entusiasmo, la stampa non ha risparmiato le critiche. Alcuni giornalisti e influencer del settore lamentano che, a giudicare dai materiali rilasciati, il gioco sembri ancora fortemente legato a meccaniche lente e poco convenzionali, come la camminata simulativa e la gestione del carico, che già nel primo capitolo avevano diviso il pubblico.

C’è anche chi trova la narrazione eccessivamente enigmatica: “Un esercizio di stile che confonde profondità con oscurità narrativa”, scrive Kotaku. Molti si chiedono se Kojima non stia abusando della propria libertà creativa, sacrificando l’accessibilità e il gameplay sull’altare della visione autoriale.
Un gioco che fa discutere, e forse è questo il punto
La reazione contrastante della stampa riflette una verità più profonda: Death Stranding 2 è un’opera polarizzante, che non cerca l’approvazione unanime. Come il primo titolo, anche il sequel punta a generare domande più che a fornire risposte. In un panorama videoludico spesso dominato da sequel prevedibili e formule sicure, la presenza di un gioco capace di far discutere è forse un segnale di vitalità.
Il peso di un’eredità divisiva
Per comprendere l’accoglienza di Death Stranding 2, bisogna prima ricordare cosa rappresentò il primo gioco. Rilasciato nel 2019, Death Stranding fu accolto da una critica spaccata: da una parte chi lo definì un capolavoro sperimentale, dall’altra chi lo bollò come una “simulazione di corriere futuristico”.

Il titolo si distingueva per la lentezza del ritmo, la centralità dell’esplorazione a piedi in ambienti desolati e l’uso di una narrativa densa, simbolica e spesso indecifrabile. Era un gioco che chiedeva pazienza, attenzione e una forte disposizione alla riflessione. Un’esperienza lontana dai canoni del blockbuster d’azione.

Tuttavia, proprio questa sua natura divisiva è ciò che ha reso Death Stranding un caso mediatico e culturale, stimolando dibattiti tra fan, critici e sviluppatori.
Un mondo visivamente straordinario
La grafica di Death Stranding 2 mi ha davvero colpito. Usando l’Unreal Engine 5, il gioco riesce a creare paesaggi così dettagliati e realistici da sembrare quasi veri. Mi ha impressionato soprattutto la cura per la luce e gli effetti atmosferici, che ti immergono completamente in quel mondo desolato ma affascinante. Anche i volti dei personaggi, con le espressioni così naturali e coinvolgenti, rendono la storia ancora più emozionante. A livello visivo, secondo me, Kojima ha fatto un lavoro incredibile, riuscendo a trasformare il gioco in una vera esperienza cinematografica.
Nella mente di Kojima
Death Stranding 2 non è pensato per piacere a tutti. E forse, proprio per questo, ha già vinto la sua prima sfida. Hideo Kojima non vuole solo intrattenere: vuole far riflettere, stimolare, provocare. La stampa lo acclama e lo critica, il pubblico si divide, ma il dialogo continua. In un mondo videoludico spesso polarizzato, Death Stranding 2 ci ricorda che il vero valore di un’opera non è nell’unanimità dei giudizi, ma nella capacità di generare domande.