Bem il Mostro Umano: Quando l’orrore giapponese passava sulle tv locali

Il primo anime horror che abbia visto

C’erano gli anni ‘90. C’erano i pomeriggi senza internet. E c’era lui: Bem il mostro umano. Un anime riusciva ad andare in onda su emittenti locali accanto a repliche di Mazinga, pubblicità di materassi e televendite di amuleti anti sfiga.

Io lo guardavo da bambino. O meglio, lo beccavo per caso tra uno zapping e l’altro, e poi rimanevo lì, incantato e leggermente traumatizzato. Perché, diciamolo: Bem non era esattamente allegria e spensieratezza in salsa anime. Era dark, era triste, e aveva più atmosfera gotica di un video dei Cure girato in un cimitero.

30 secondi di terrore

Non me lo ha consigliato nessuno, nessun compagno di classe lo guardava, e nemmeno sapevo bene quando andasse in onda. Ma ogni tanto, come una creatura notturna che sbuca fuori solo se il cielo è giusto e il decoder si è svegliato bene, appariva. E io rimanevo a guardare, a metà tra l’ipnosi e il turbamento.

la sigla di Bem il mostro umano era terrorizzante, era una frustata d’ansia audiovisiva, un’esplosione di disagio sonoro che partiva dritta dal televisore e ti si infilava nel sistema nervoso prima ancora che tu capissi cosa stessi guardando; “squarta e taglia ad ogni istante chiunque incontra nel castello” praticamente era il riassunto del film Hostel. invece la controparte giapponese erano due brani jazz.

Bem, Bera e Bel(l)o

Il protagonista, questo essere umanoide con l’aria perennemente afflitta e una voce da narratore di tragedie greche, non faceva nulla per sembrare simpatico. Anzi, pareva uscito da un film horror degli anni Settanta rimontato male da qualcuno con un trauma irrisolto. E non era da solo. C’erano anche Bera e Belo, altri due esseri mezzi umani, mezzi mostri, completamente fuori posto ovunque andassero. Un gruppo che si trascinava di città in città per aiutare persone che, puntualmente, alla fine li trattavano come spazzatura. Il messaggio era chiaro: anche se fai del bene, se hai una faccia da mostro rimani un mostro, sorridi, piccolo spettatore.

Ogni episodio di Bem il mostro umano, era una discesa lenta in una melma esistenziale. Ombre, pioggia, disperazione, atmosfere da noir sovietico, e un senso generale di “non ce la faremo mai, ma proviamoci lo stesso”. Eppure qualcosa ti incollava lì. Forse era la totale mancanza di speranza mescolata alla voglia infantile di vedere cosa sarebbe successo dopo. O forse era solo che, a quell’ora del pomeriggio, non c’era niente di meglio.

Paura dei mostri

I nemici in Bem il mostro umano erano una parte fondamentale dell’esperienza. Ogni episodio aveva la sua “creatura della settimana”, ma dimenticatevi i mostriciattoli buffi dei cartoni più commerciali.

Questi erano veri incubi con le gambe. Roba che oggi, se li rivedi, capisci subito perché da bambino avevi quell’ansia vaga e inspiegabile ogni volta che spegnevi la TV. Erano mostri deformi, spesso frutto della trasformazione di esseri umani corrotti, vendicativi o malvagi. Gente normale che, mossa dall’odio, dalla gelosia o da qualche trauma mal gestito, diventava una creatura spaventosa, sia fuori che dentro.

Purtroppo i miei ricordi erano abbastanza vaghi, anche perché gli episodi venivano trasmessi completamente a caso, senza un ordine preciso su vari canali locali come Junior TV. Capitava tranquillamente di vedere lo stesso episodio due volte nella stessa settimana, mentre altri sembravano spariti nel nulla. Solo di recente, grazie alla versione completa disponibile su Amazon, sono riuscito a recuperare tutta la serie per intero e finalmente darle un senso. Quello che però mi è rimasto più impresso da piccolo – più di tutto il resto è stata la sigla. Non la trama, non i personaggi, non i mostri: la sigla. Un concentrato di tensione e terrore che, per un bambino davanti alla TV nel primo pomeriggio, bastava e avanzava per mettere in moto un’intera giornata di ansia.

Sigla
Visto a cazzum
Mi faceva paura
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